Archive for 2015
Misurare la reale condizione di una società
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"Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato all'eccellenza personale e ai valori della comunità in favore del mero accumulo di beni terreni.
Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL - se giudichiamo gli USA in base ad esso - comprende anche l'inquinamento dell'aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane.
Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l'intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta."
Robert Kennedy (1968)
Category economia, politica, società
Considerazioni sull'immigrazione di massa
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Alcune considerazioni interessanti tratte da questo articolo (e questo) sul problema dell'immigrazione che da alcune settimane è un tema sempre più caldo:
...a giugno 2015 in Italia c’erano 48.300 persone che hanno presentato domanda di asilo, lo 0,08 per cento della popolazione, contro i 306.000 della Germania (0,38 per cento). In Spagna sono lo 0,02 per cento, in Gran Bretagna lo 0,05. I famosi 35 euro al giorno non vanno agli immigrati, ma sono il costo individuale del loro mantenimento, spesso i gestori dei centri Cara non erogano neppure i 2,5 euro quotidiani di “pocket money” che dovrebbero garantire un minimo di autonomia agli ospiti.
Il sistema di protezione Sprar del Ministero dell’Interno, quello che tutela i rifugiati, ha accolto nel 2014 22.961 persone, in deciso aumento rispetto alle 12.600 dell’anno e ai 7.800 del 2012. Non c’è alcuna evidenza statistiche che i migranti regolari delinquano più degli italiani. Per quelli irregolari è un altro discorso, ma provate voi a sopravvivere in un Paese straniero senza documenti e senza possibilità di trovare un lavoro…
[Commento sulle soluzioni proposte al problema:]
- “Aiutiamoli a casa loro”. Siamo tutti d’accordo che se l’Africa fosse ricca come la California i migranti non partirebbero, ma così non è. Da decenni si tentano politiche in via di sviluppo, danno risultanti alterni e lenti, come evidente non bastano a frenare le migrazioni. Come ha osservato l’economista Leonardo Becchetti, il miglior modo per “aiutarli a casa loro” è lasciare che quelli che arrivano in Europa abbiano un lavoro e possano mandare a casa i propri risparmi, così da mantenere le famiglie (e disincentivarle a partire).
- “Non possiamo accoglierli tutti”. E perché? Philippe Legrain lo ha spiegato bene sul Fatto Quotidiano, l’Europa sta invecchiando, il suo welfare sarà sostenibile solo grazie agli immigrati. Ma soprattutto, da un punto di vista morale, questa tesi equivale a: “Dobbiamo farne morire un po’ in mare”, visto che la nostra eventuale ritrosia all’accoglienza non scoraggia certo le partenze.
- “Bisogna risolvere i problemi geopolitici che causano le crisi da cui i profughi scappano”. Vero. Peccato che [...] la Russia di Vladimir Putin [...] sorregge il regime di Bashar al Assad in Siria, focolaio di tutti i disastri degli ultimi cinque anni, prima con una guerra civile di cui l’Occidente dovrà vergognarsi per i prossimi secoli e poi con la totale mancanza di controllo del territorio a beneficio dell’Isis, il sedicente Stato islamico. Lo stallo sulla Siria è una delle ragioni che rende difficile, se non impossibile, affrontare il caos in Libia.
[...] Il problema dell’immigrazione non è facile da risolvere. Anzi, è impossibile da risolvere, si può solo gestire. Il dibattito si è finalmente ridotto alla sua essenza: quanti morti siamo disposti ad accettare per difendere la nostra “fortezza europa”? Dopo la morte di Aylan l’Europa, e gli europei, sembrano aver deciso che ogni morte è una tragedia, anche se a morire non è un inglese o un tedesco ma un curdo, un eritreo, un siriano.
Category europa, immigrazione, politica, società, solidarietà
Cows in Europe earn more per day ($2.20) than 1.2 billion poor people
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"Primary farm producers in the world's developed countries receive about $280 billion a year in government support. In the European Union, farmers receive a third of their income from government subsidies. Beef and veal producers get more than 70% of their income from subsidies. A typical cow in the European Union receives a government subsidy of $2.20 a day. The cow earns more than 1.2 billion of the world's poorest people."
Mark Vaile, Australian trade minister in 2005
The developed world funnels nearly $1 billion a day in subsidies to its farmers, encouraging overproduction. That drives down prices and leaves farmers in poor nations unable to compete with subsidized products, even within their own countries. In recent years, American farmers have dumped cotton and other products on world markets at prices that do not begin to cover their cost of production. Europe's system is even worse; the United States' farm subsidies are only a third of Europe's. A cow in France shouldn't make more than a farmer in Burkina Faso. That is just shameful.
NY Times editorial "Cow Politics" in 2005
In 2006, expenditures on the Common Agricultural Policy (farm subsidies) were €49.8 billion, compared to €48.5 billion in 2005. This represents 47% (the largest component) of the EU's expenditures in 2006, up from 46% in 2005.
Category economia, politica, società
Pillars of Creation
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..poi ogni tanto, anche se siamo presi dagli affanni quotidiani, dagli interminabili impegni, dai progetti mai conclusi, dalle attese tanto lunghe, ogni tanto fermiamoci un attimo a guardare il cielo. E rendiamoci conto che "là fuori" c'è un universo immenso di cui non sappiamo quasi nulla, e di cui noi siamo solo un'infinitesima parte..
Fonte immagine: NASA
Category universo
Il valore della conoscenza
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Un ingegnere fu chiamato a riparare un computer. Sedutosi di fronte allo schermo, premuti alcuni tasti, annuì, mormorò qualcosa tra sé e lo spense.
Prese un piccolo cacciavite dalla tasca e girò a metà a una piccola vite. Poi accese di nuovo il computer e scoprì che funzionava perfettamente.
Il proprietario della società fu felice e si offrì di pagare il conto sul posto.
- "Quanto le devo?" - chiese
- "In totale mille euro"
- "Mille euro?! Mille euro per un paio di minuti di lavoro?! Mille euro, semplicemente per aver girato una piccola vite?! Io so che questo super computer costa molto ed è importante per il nostro lavoro, ma... mille euro è un importo pazzesco! Pagherò solo se mi invia una fattura dettagliata che giustifichi perfettamente questa cifra!"
Il tecnico informatico annuì e se ne andò.
La mattina seguente, il Presidente ricevette la fattura, lesse attentamente, scosse la testa e procedette a pagare, senza indugio.
La fattura riportava:
Servizi offerti:
Il proprietario della società fu felice e si offrì di pagare il conto sul posto.
- "Quanto le devo?" - chiese
- "In totale mille euro"
- "Mille euro?! Mille euro per un paio di minuti di lavoro?! Mille euro, semplicemente per aver girato una piccola vite?! Io so che questo super computer costa molto ed è importante per il nostro lavoro, ma... mille euro è un importo pazzesco! Pagherò solo se mi invia una fattura dettagliata che giustifichi perfettamente questa cifra!"
Il tecnico informatico annuì e se ne andò.
La mattina seguente, il Presidente ricevette la fattura, lesse attentamente, scosse la testa e procedette a pagare, senza indugio.
La fattura riportava:
Servizi offerti:
- Serrare una vite: Euro 1
- Sapere quale vite serrare: Euro 999
Si vince per quel che si sa, non per quel che si fa.
Si vince per quel che si sa, non per quel che si fa.
The banana experiment
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"Nel 1967 il Dott. Stephenson ha condotto un esperimento in cui erano coinvolte 10 scimmie, una gabbia, una banana, una scala e uno spruzzatore di acqua gelata. Stephenson rinchiude 5 scimmie in una grande gabbia. All’interno della gabbia mette una scala e sulla scala un casco di banane.
Le scimmie si accorgono immediatamente delle banane e una di loro si arrampica sulla scala. Appena lo fa, però, lo sperimentatore la spruzza con dell’acqua gelida. Poi riserva lo stesso trattamento alle altre 4 scimmie. La scimmia sulla scala torna a terra e tutte e 5 restano sul pavimento, bagnate, al freddo e disorientate. Presto però la tentazione delle banane è troppo forte e un’altra scimmia comincia ad arrampicarsi sulla scala. Di nuovo lo sperimentatore spruzza l’ambiziosa scimmia e le sue compagne con l’acqua gelata. Quando una terza scimmia prova ad arrampicarsi per arrivare alle banane le altre scimmie, volendo evitare di essere spruzzate, la tirano via dalla scala malmenandola. Da questo momento le scimmie non proveranno più a raggiungere le banane.
La seconda parte dell’ esperimento prevede l’introduzione di una nuova scimmia nella gabbia. Appena questa si accorge delle banane prova naturalmente a raggiungerle. Ma le altre scimmie, conoscendo l’esito, la obbligano a scendere e la picchiano. Alla fine anche lei, come le altre 4 scimmie, rinuncia a mangiare la banana senza mai essere stata spruzzata con l’acqua gelata, quindi senza sapere perché non potesse farlo.
A questo punto un’altra scimmia scelta tra le 4 originarie rimaste, è stata sostituita con una nuova. Il nuovo gruppo era composto da 3 delle scimmie iniziali (che sapevano perché non tentare di prendere la banana), 1 scimmia che aveva imparato a rinunciare alla banana a causa della reazione violenta delle altre e 1 scimmia nuova. La scimmia nuova, come previsto, tenta di raggiungere la banana. Come era avvenuto con la scimmia precedente, le altre scimmie le impediscono di raggiungere il frutto senza che il ricercatore dovesse spruzzare dell’acqua. Anche la prima scimmia sostituita, quella che non era mai stata spruzzata ma era stata dissuasa dalle altre, si è attivata per impedire che l’ultima arrivata afferrasse la banana.
La procedura della sostituzione delle scimmie viene ripetuta finché nella gabbia sono presenti solo scimmie “nuove”, che non sono mai state spruzzate con l’acqua. L’ultima arrivata tenta naturalmente di avvicinarsi alle banane ma tutte le altre glielo impediscono: nessuna di esse però conosce il motivo del divieto!
Stephenson descrive l’atteggiamento inquisitore dell’ultima scimmia arrivata, come se cercasse di capire il perché del divieto di mangiare quella banana così invitante. Nel suo racconto le altre scimmie si sono guardate tra loro, quasi a cercare questa risposta. Il problema è che nessuna delle scimmie presenti la conosceva, perché nessuna era stata punita dallo sperimentatore per averci provato, era stato il gruppo a opporsi. Una nuova regola era stata tramandata alla generazione successiva, ma le sue motivazioni erano scomparse con la scomparsa del gruppo che l’aveva appresa.
Non smettere di indagare, di chiedere, di trovare nuovi paradigmi. Spesso il nostro modo di agire è solo il frutto di azioni che ripetiamo perché l’abbiamo visto fare da altri, senza sapere bene il perché. Cambiate le vostre abitudini. Non abbiate paura."
Approfondimenti
- Stephenson, G. R. (1967). Cultural acquisition of a specific learned response among rhesus monkeys. In: Starek, D., Schneider, R., and Kuhn, H. J. (eds.), Progress in Primatology, Stuttgart: Fischer, pp. 279-288
Tratto da Dionidream
Category politica, psicologia, società
"La gioia di camminare in montagna" di Marta Pederzani
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Una bellissima "lettera al giornale" dell'amica Marta Pederzani:
Nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque? Come non vedere che null’altro la natura chiede con grida imperiose, / se non che il corpo sia esente dal dolore, e nell’anima goda / d’un senso gioioso sgombra d’affanni e timori? Così Lucrezio, nel De Rerum Natura. E così è per me, quando vado in montagna. Perchè davvero, ogni passo con gli scarponi, sul terreno soffice del sottobosco, sul sentiero, lo sento come quel «grido imperioso»: «Sii contento, guardati attorno! Sei nella natura e non potrebbe essere più giusto di così!» E forse è proprio per questo che la montagna mi fa stare così bene: perchè è semplice, e faticosa, ma dietro l’angolo c’è sempre qualcosa che ti sorprende: che sia anche un bucaneve, o un animaletto o un raggio di sole che filtra tra gli alberi... e quindi mi fa pensare un po’ alla vita, che di certo semplice non è, ma può avere le sue belle sorprese, e camminare mi aiuta a sperarci.
Una delle cose che più mi intriga della montagna, sarà banale, ma sono i segnavia. Quei colori smaltati e vividi sulle pietre, o sui tronchi, al di là del conforto che danno, soprattutto diciamocelo, quando non abbiamo tutto questo senso dell’orientamento e ci aiutano a non perdere la via, per me sono qualcosa di più. Sono la traccia di persone e vite che, prima di me, sono passate per quel punto. Hanno trovato un sentiero per arrivare in vetta e hanno faticato, si saranno divertiti? Con che passo avranno percorso quella via? Quanti erano? Quanto ci avranno impiegato? E quanto tempo fa? Ma, soprattutto, hanno voluto lasciarci un aiuto, perchè anche altri, dopo di loro, potessero godere di questa fantastica avventura che abbiamo a due passi e spesso non ce ne accorgiamo.
La montagna è anche solidarietà tra gli uomini davanti alla natura, che è ventre accogliente ma anche anche spesso la cattiva matrigna leopardiana: penso soprattutto alle vie rocciose, è lì che la solidarietà degli scalatori esce in tutta la sua forza. Gli affanni e i timori di cui ci parla Lucrezio: chi non ne ha? La montagna ovviamente non è una panacea miracolosa che annulla tutto... se una camminata bastasse a cancellare esami o bollette, la montagna sarebbe un posto pieno e invivibile! Ma quello che la montagna, da che ne ho ricordi, mi dà, è proprio quel «iocundo sensu». Iocundus in latino ha una sfaccettatura di significati, e il ventaglio di sensazioni che le escursioni mi danno è proprio quello.
Prima di tutto, onore alla parte bambina che c’è in noi, e grazie parte bambina che ci ricordi quanto sia giusto ridere e divertirsi, la montagna è gioco. Perché, e credo nessun escursionista lo possa negare, il bello di andare in montagna è anche quel senso di scoperta e di avventura, di bivi tra cui scegliere, rumori da ascoltare, di corse fatte in discesa, quasi a chi arriva giù’ per primo! E poi preparare lo zaino, la sera prima. Che ci metto? Porto un dolce per tutti? Vado di cioccolata! Il mio zainetto, fa un po’ ridere, io lo chiamo: «Il mio compagno di avventura», perché è sempre lì, pronto, appena decido una meta. E se anche la meta è troppo ambiziosa o io sono un po’ stanca, lui è lì, quasi a dirmi: fai tu, in ogni caso, io ci sono!
Poi, dicevo, iocundus come lieto. Sarà la fatica che ti fa concentrare su gambe e fiato, sarà il panorama, che il fiato te lo toglie, ma mentre cammino i problemi diventano più leggeri, meno zavorra e più ottimismo... la montagna infonde positività.
E, infine, iocundus come gradito: la montagna è quella presenza discreta che ti sta accanto come l’amico più spontaneo: mai invadente quando sei pensieroso, mai insistente se hai qualcosa che non va, né curiosa se hai qualcosa che ti rende felice. Semplicemente è lì, la compagnia più piacevole che puoi desiderare.
Parlando di compagnia, l’altro grande motivo per cui adoro andare in montagna, sono proprio i compagni di escursione. Perchè se da un lato in montagna cerco il silenzio ed evito la confusione, dall’altro in montagna incontro persone che, almeno per una passione, sono simili a me. E se anche non lo sono, è fantastico parlarci mentre si sale insieme. In salita, si sa, c’è poco fiato, e non lo sprechiamo per dire frasi superficiali, repertorio da feste e presentazioni banali. Camminando pensiamo a cose serie e dosiamo le parole, e questo per un dialogo è la costruzione migliore che si possa chiedere. Che io sia un’inguaribile ottimista e forse un po’ sognatrice, ma credo seriamente che la montagna tiri fuori il lato buono delle persone, quel lato onesto, che tutti abbiamo, perché in montagna non si bara. E così le persone che conosco in montagna, per quanto io sia di natura diffidente, mi sembrano leali, e anche se solo per una giornata, sono i miei compagni di viaggio, ed è un legame di cui noi uomini abbiamo bisogno.
Tutti percorriamo una via e tutti abbiamo persone accanto a noi nel percorso. E per me così è davvero: in montagna sto conoscendo moltissime persone e direi anzi moltissime belle persone, con cui sono nate amicizie e rapporti profondi, e per questo devo ringraziare il gruppo Escursionisti Unibs (siamo su facebook, cercateci!), che una ragazza ha avuto la grande idea di fondare (Carlotta Giovannelli) e le sono stata molto grata appena l’ho scoperto. Cercavo proprio qualcuno per andare in montagna, un po’ perché non essendo esperta non mi fidavo a salire in solitario, un po’ perché non conoscendo mete andavo sempre sui soliti monti e un po’ per incontrare gente che condividesse questa mia passione. Così è stato, e come al solito il merito è un po’ del gruppo e un po’ del progetto.
Quindi grazie a voi, alle «vette» conquistate insieme e a quelle che conquisteremo, alle nostre inziative e alla carica che condividiamo, che insieme aumenta! E grazie alla montagna: grazie alla voglia di partire la sera prima; grazie al sonno della levataccia; grazie al piacevolo brividino dell’inizio sentiero; grazie al fiato che inizia a diventare corto e il battito ad aumentare quando il sentiero «rampèga» come si dice in dialetto; grazie alle gambe che non mi mollano nella salita; grazie al sentiero che a tratti dolce e a tratti severo, come solo un genitore o un buon maestro può essere, mi porta in cima; grazie ai tratti di bosco che mi ricordano le favole; grazie alle radure e alle soste, col cibo condiviso; grazie alla cima che mi si apre davanti, dove c’è sempre una croce o un monumento, dove ti senti soddisfatto davvero e sereno, un po’ in cima al mondo; grazie alla vista che mi si offre davanti, alla vertigine che mi dà, soddisfazione e insieme spinta per esplorare le altre montagne che posso vedere. Insomma, soprattutto grazie, perché le cose belle vanno apprezzate e condivise, quindi le montagne sono lì gente, fatevi una camminata!
Concluderei con le parole di una preghiera scout, perchè l’ho letta e condivido: «Per il vento che ci batte sul volto e ci reca la gioia di terre lontane, per le albe piene di fiducia e per i tramonti ricchi di pace».
Category alpinismo, crescita personale, montagna, società
Il mio (non tanto) lungo inverno. Parte 2.
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Non ho fatto proprio in tempo ad assistere al temibile inverno Australiano - diciamo che l'ho schivato anche questa volta - ma comunque ho vissuto almeno gli ultimi mesi d'autunno caratterizzati da un andamento schizofrenico delle temperature (un giorno in maglietta, un giorno con maglione e giacca a vento).
Il lavoro è proseguito bene, non sempre veloce ed efficiente, ma comunque pian piano si aggiungono piccoli pezzi (beh neanche tanto piccoli) e si delineano sempre meglio i contorni della centrale. Ci sono ancora un bel po' di elementi mancanti ma considerando la poca forza-lavoro direi che i progressi sono notevoli, e non manca molto ai primi exciting test. Nonostante le mie mansioni non siano state sempre entusiasmanti o "leggere" devo dire che l'esperienza è stata ancora una volta utile ed istruttiva, coordinare e lavorare con altre persone non richiede solo capacità di pianificazione e organizzazione del lavoro (per evitare tempi morti e ridondanze..) ma anche e soprattutto l'abilità di riconoscere le problematiche e le esigenze altrui (cosa le persone preferiscono fare, come vorrebbero lavorare..). Certamente si potrebbe ignorare ogni forma di dialogo e portare avanti il lavoro a modo proprio, ma probabilmente a lungo andare ci si renderebbe conto che le persone lavorano meglio quando si sentono prese in considerazione e quando si cerca un punto di accordo nonostante le esigenze e le personalità diverse, e così non sono mancati i momenti di confronto e dialogo, parte integrante del lavoro in struttura gerarchica.
La vita a Jemalong è stata - come mi aspettavo - un po' troppo tranquilla e "isolata", nonostante fossimo ancora un ottimo gruppo di colleghi e non mancassero mai le occasioni di trascorrere tempo insieme anche dopo il lavoro per divertirsi e stare in compagnia. In particolare ho trovato un gruppo di colleghi che mi ospitava a cena tutti i giorni e con loro si è creato un rapporto di amicizia ancora più intenso - anche perché così facendo hanno impedito che mi alimentassi a pasta e wurstel in modo continuativo..!
Ma, si sa, talvolta bisogna cambiare i piani in corso d'opera e per svariati motivi ("tecnici") ho dovuto anticipare un po' il rientro nell'emisfero nord. Poco male, in fin dei conti il bello è davvero l’imprevedibile. E così a fine Maggio ho organizzato il lavoro in modo da poter continuare da remoto e ho salutato - di nuovo - tutti i colleghi e gli amici. Sono rientrato a Sydney con alcuni colleghi, ho trascorso un tranquillo sabato a sistemare le ultime faccende e la sera sono decollato con in testa tante nuove idee e progetti per i prossimi mesi.
Back
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Al lavoro già da tre settimane! E ovviamente mi sembra di
essere arrivato solo ieri, nonostante abbia già sul tavolo mille tasks diversi
di cui occuparmi ed ogni giorno sembri riservare nuove sorprese. Rientrare in
azienda è stato un po’ come non essermi mai allontanato, nonostante negli
ultimi nove mesi sia cambiato tanto: ora abbiamo una fabbrica, migliaia di
specchi sul campo, 5 torri, decine di operai ed un nuovo ufficio (nonostante
sia in condizioni indecenti a causa di ridicole scelte manageriali..). Ho
ritrovato gli amici ed i colleghi che ho lasciato ed è stato simpatico scoprire
come per certi aspetti non siano cambiati, proprio come se li avessi visti fino
a ieri.
C’è molto fermento in azienda per le deadline ed in
particolare per i primi test che effettueremo tra poco. Per certi versi il futuro
stesso dei nostri progetti dipende dall’esito dei primi test, per cui c’è molta
pressione non solo per produrre risultati velocemente, ma anche perché tutto
vada bene e funzioni perfettamente. Penso ci sarà da divertirsi..!
Stiamo ancora finendo la produzione degli specchi
(nonostante il grosso sia fatto), montando le torri pivotanti (che spesso
issiamo ed abbassiamo per vari motivi) e montando tutte le tubature. Io in
particolare sto eseguendo test idrostatici e coordinando i lavori di isolamento
termico delle tubazioni.. il che vuol dire che ora sono un “supervisor” di
2/3/4 operai e che ogni giorno stabilisco i lavori da eseguire, preparo il
materiale, discuto il piano di azione.. e talvolta lavoro con loro, sia per controllare
che la tecnica impiegata sia la migliore possibile che per avere un feedback
diretto di cosa si può migliorare, come si può rendere più rapido e semplice. Il
lavoro di isolamento è lungo e spesso noioso e ripetitivo, quindi ovviamente le
condizioni dell’operatore devono essere le migliori possibili per evitare che
alla stanchezza fisica si sommi la frustrazione di essere scomodo o
involutamente lento. Non che io abbia grande esperienza alle spalle come
supervisore/coordinatore in un contesto aziendale, però credo davvero che il
contatto e il rapporto diretto con chi fisicamente lavora sul campo sia alla
base di una buona intesa e della buona riuscita di tutto il lavoro.
C’è ancora molto da fare, specialmente perché avendo già
tutti i componenti principali in posizione si tende a convincersi che ormai
manchi poco, mentre sono proprio tutte i lavori “di fino” a protrarsi per mesi.
Tante scelte iniziali si sono dimostrate azzeccate, nonostante su alcune delle
quali non avrei scommesso (come ad esempio le torri pivotanti). Altre scelte invece
si sono rivelate ridicolmente sbagliate, sulle quali – onestamente – ho sempre
dubitato (come ad esempio il fatto che le torri vengano issate ed abbassate “a mano”,
sprecando 3/4 persone per ore).
Mi aspettano settimane di lavoro intenso (più di 10 ore al
giorno) in cui metteremo insieme gli ultimi elementi della centrale. Non sono
ancora riuscito a farmi un’idea precisa di quando potremo “girare la chiave” e
far partire la turbina, spero che succeda entro 3/4 mesi, anche se è difficile
quantificare la durata del resto dei lavori. Per ora facciamo del nostro meglio
per non mancare le deadline (o per recuperare il ritardo..) e produrre buoni
risultati!
Category Australia, best practices
Il mio lungo inverno. Parte 1.
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Avendo completato non molto tempo fa la mini-serie sulla mia
“lunga estate” mi sembra opportuno lanciare ora il naturale sequel a proposito
di quello che sta per diventare un “lungo inverno”.
Rientrare all’ETH a Settembre è stato.. diverso. Dopo l’esperienza
in Australia mi sentivo un po’ fuori luogo tra i banchi dell’università in
mezzo a tanti altri studenti, talvolta appena laureati nella triennale. Ho
seguito i corsi con interesse forse più maturo, interagendo maggiormente e più
liberamente e cercando di svincolarmi dal freddo rapporto studente-docente. Non
che mi sia preso particolari “libertà” o che mi sia sentito in alcun modo “diverso”,
semplicemente ho partecipato principalmente come una persona interessata ai
contenuti, come tra l’altro ho sempre cercato di fare. E il ricordo dell’esperienza
in azienda è rimasto sempre vivo e presente, spingendomi a cercare sempre l’applicazione
pratica dei concetti presentati, e stimolandomi ad andare oltre alla semplice
relazione matematica.
Ad inizio semestre come al solito mi sono sommerso di corsi,
dimenticandomi – ingenuamente – di “allocare” tempo ad altre attività (sport,
studio delle lingue, interessi..). Il vantaggio di aver scelto tanti corsi –
alcuni dei quali improbabili nel mio curriculum – è che ho avuto modo di
avvicinarmi a materie e professori nuovi. Ad esempio in un corso avanzato di
catalisi (nonostante non abbia mai fatto il base) ho avuto modo di incontrare
un docente giovane, bravo e straordinariamente produttivo in ambito
scientifico, oltre ad aver visto dal vivo una fabbrica dove producono catalizzatori
chimici. Nel contesto di un corso di materiali ho visitato l’azienda Dow
Chemicals, in particolare quei reparti di R&D dove tutti i giorni si
applicano quelle conoscenze essenziali che si studiano in università. Ed infine
è grazie ad un corso di “Progettazione del prodotto chimico” (chiaramente
adatto al mio curriculum..) che mi sono ritrovato a lavorare su robot ad
esplosioni controllate, cuori artificiali (a combustione) ed altri progetti
assolutamente originali ed innovativi..
Nonostante il lavoro di ricerca in università ed i numerosi
esami di gennaio/febbraio sono riuscito a ritagliarmi qualche giorno di sci e anche
qualche uscita su cascate di ghiaccio con la scuola Ugolini di Brescia. E a
Marzo sono perfino riuscito a trascorrere una settimana a Fuerteventura con la
famiglia, dove ho cercato di migliorare le mie abilità di kite-surfer,
nonostante il vento abbia minacciato di abbandonarmi più volte! Consiglio
assolutamente il sud dell’isola (Costa Calma), nei pressi della famosa laguna
dove tra l’altro si trova anche la scuola René Egli. Il centro kite non è male,
sicuramente è molto attrezzato e i prezzi sono (quasi) ragionevoli, tuttavia la
qualità delle lezioni è bassa (l’istruttore sta in spiaggia – come non averlo),
per cui consiglio assolutamente di portarsi il proprio materiale e piazzarsi in
laguna (al sicuro quindi, non nell’oceano!) per imparare autonomamente.
Rientrato a casa ho avuto giusto il tempo di infilare tutto
nell’ennesima valigia e prepararmi a ripartire, pronto per tornare in VastSolar
ancora per qualche mese, direi quasi per concludere ciò che avevo iniziato. E
così tutto si è ripetuto come poco più di un anno fa, e dopo un lungo volo sabato
sera mi sono ritrovato di nuovo nella vibrante Sydney, pronto per una (quasi)
nuova esperienza.
Category storylife
A cuore aperto
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Non esattamente ciò che ti aspetti quando frequenti un corso
di ingegneria che nulla ha a che fare con l’aspetto “bio” o la medicina in generale,
ma per una serie di “coincidenze” mi sono trovato nel più importante centro
europeo di chirurgia cardiaca. Il laboratorio in cui lavoro (in università) sta
infatti partecipando ad un’iniziativa per realizzare un cuore artificiale, che
nel nostro caso funzionerà in modo del tutto particolare ed originale (di cui
non posso parlare troppo..).
E poiché stiamo progettando (e costruendo) un cuore siamo in
contatto con le persone che di questo si occupano tutti i giorni, e così mi
sono trovato di fronte ai più importanti cardiochirurghi del mondo che
presentavano lo stato dell’arte ed i possibili sviluppi (in tedesco, tra l’altro).
Già l’essere capitato in questo ospedale è stata per me
quasi una sorpresa, ma non potete immaginare la mia espressione quando siamo
entrati nello spogliatoio, ci siamo svestiti per indossare il camice verde, ci
siamo lavati braccia e mani, abbiamo preso mascherina e cuffia per i capelli ed
infine.. siamo entrati in sala operatoria. Nel giro di pochi secondi mi sono
trovato a 50 cm da un cuore, vivo, in vista, che batteva continuamente. Il paziente
era completamente coperto, rimaneva giusto lo spazio per poter lavorare sul
cuore, dove i chirurghi hanno installato una pompa ventricolare che
supporta/sostituisce il cuore nel suo normale funzionamento. E in tutto il
tempo il cuore non ha mai smesso di battere!
Abbiamo assistito a tutto l’intervento, in particolare alla
parte cruciale di installazione della pompa, che chiaramente deve essere
collegata da una parte all'aorta e dall'altra al ventricolo del cuore. La sala
operatoria sembrava addirittura predisposta per le visite, con tanto di
sgabello per portarsi esattamente al di sopra del cuore e dei chirurghi, per
avere una perfetta visione dall'alto. Chiaramente sono stati minuti di forte
impatto, nonostante il clima assolutamente rilassato di tutto il personale,
chirurghi per primi. Chiaramente per loro la professionalità e l’esperienza
riducono la componente di “straordinarietà” quasi del tutto, ma per un semplice
spettatore come me è stato assolutamente .. incredibile.
Chiaramente vedendo “dal vivo” (in tutti i sensi..) come il
cuore artificiale viene installato si capisce quali sono gli spazi, le procedure,
le difficoltà, le caratteristiche che questo strumento deve avere. Poche ore mi
hanno permesso di acquisire più informazioni di tanti giorni spesi su libri,
oltre al fatto che il contatto diretto con il problema lo rende sempre più
chiaro e più delineato. Il centro di Berlino tra l’altro mi è sembrato un
ospedale estremamente avanzato ed attrezzato, certamente all'altezza della sua
fama (agli occhi di un inesperto come me).
Esperienze come queste dovrebbero essere alla base della
vita degli studenti (magari nei rispettivi campi di studio..), ed invece troppe
volte spendiamo ore a cercare di immaginare concetti e problemi, quando il
contatto diretto con la realtà ci aprirebbe gli occhi in un attimo dandoci
incredibili stimoli.
Category apprendimento, medicina, scuola/università, Swiss life
Hype cycle
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Tra una slide e l'altra ho trovato questa curva, che descrive il ciclo di Hype.. e pensandoci un po' mi sono reso conto che funziona in tanti casi diversi: nuove tecnologie, nuove idee, nuovi progetti, nuove relazioni.. insomma, descrive praticamente l'evoluzione di una "novità" dal momemento in cui ne entriamo in contatto (picco di aspettative) fino a quando ce ne abituiamo (plateau)!
Category crescita personale, economia, thoughts