Un ottimo articolo, provocatorio (forse) e molto
attuale. Thanks Bruno Tinti (Il Fatto Quotidiano).
Qualche giorno fa, Rai 3: Pompei, com’è, che si fa, che si
dovrebbe fare. Il responsabile del sito, una signora, non ne ricordo il nome:
abbiamo fatto tantissimo. Ma come, ci sono stati crolli, rovine. Sì, ma servono
soldi e personale e non li abbiamo; però lavoriamo tantissimo e bene. Della
serie: facciamo il possibile ma Pompei va in rovina lo stesso. Ovviamente così
può dirsi per chissà quanti siti archeologici, opere d’arte, monumenti. Tutti i giorni: l’economia va male,
malissimo, malino, ci sarà una ripresa dello zero virgola, la pressione fiscale
insostenibile, la crescita, il lavoro, le imprese… servono tagli… Di cosa,
di quanto, non si sa. Così da una vita. Nessuno lo ha mai negato per quanto
riguarda il patrimonio artistico e archeologico; e, per quanto riguarda la
bancarotta dello Stato, la si ammette da quando è stato possibile imputarla
alla crisi dei subprime. Della serie: non è colpa nostra, è colpa della crisi. Come se un debito pubblico di 2. 300
miliardi di euro costruito negli ultimi 20 anni non derivasse dall’incapacità e
dal malaffare della nostra classe dirigente.
Adesso una timida proposta:
vendiamo gli stabilimenti balneari e con quei soldi copriamo il mancato gettito
dell’Imu. Coro di no. Il sacro suolo, l’ambiente, la speculazione. Tutta gente
che non è mai stata ad Alassio (per dire, di posti così ce ne sono migliaia). Il
mare segregato da una striscia continua di palizzate e cabine, non si riesce
nemmeno a vederlo: sono gli stabilimenti. Ogni tanto (il rapporto sarà di 1 a
10) c’è una striscia larga 10 metri di sabbia sporca e puzzolente: la spiaggia
libera. Questo sarebbe l’ambiente da tutelare. Mettiamoci d’accordo subito. È
vero, ci sono cose che non si fanno. In realtà, che non si dovrebbero fare.
Per esempio, non è giusto mercificare il
corpo degli esseri umani con la prostituzione e distruggere corpo e mente con
droghe. E, naturalmente, non è giusto sottrarre arte e natura al godimento di
tutti i cittadini. Quindi lo Stato deve adoperarsi perché tutto questo non
accada. Che si adoperi, può darsi,
che ci riesca è sicuro di no. Proprio come per Pompei: lavoriamo tanto ma…
Allora la domanda è: se non si riesce a impedire prostituzione, droga, rovina
del patrimonio archeologico e naturale; se, nel tentativo di farlo, si spendono
– inutilmente – un sacco di soldi, ha
senso continuare a far finta di fare quello che è giusto, dilapidare le poche
risorse pubbliche disponibili e lasciare andare in rovina persone e ambiente?
Ovviamente no. L’alternativa? Dove non
si può reprimere si regolamenta; dove non si può eliminare il danno, lo si
riduce. La presenza di decine di
migliaia di prostitute lungo le strade d’Italia rende evidente che la
repressione non serve a niente; che la salute pubblica è in pericolo; che le
condizioni di vita di queste persone equivalgono alla schiavitù.
Ha senso continuare con leggi che impediscono la regolamentazione
di un fenomeno che non si può reprimere? Non è meglio consentire la costruzione
di siti in cui la prostituzione possa essere esercitata in sicurezza e
salubrità? Non è meglio tassarla recuperando somme variabili tra i 5 e i 10
miliardi di euro all’anno? Nel 2010 la Commissione Globale sulle politiche
delle droghe istituita dall’Onu ha pubblicato un rapporto drammatico: “La lotta
alla droga è fallita. Dal 1998 al 2008, i consumatori di oppiacei sono
aumentati del 34, 5 per cento, quelli di cocaina del 27 per cento, quelli di
cannabis sono passati dai 147 a 160 milioni”. Quanto sia fondata questa analisi
lo si può constatare quotidianamente: per procurarsi una dose di qualsiasi cosa
basta una telefonata o una sosta in piazzetta.
La repressione è inutile. Ha senso continuare a riempire le carceri
di minispacciatori che sono scarcerati dopo una settimana per fare posto ad
altri come loro? Serve a qualcosa spendere miliardi di euro per incidere dello
zero virgola sul quantitativo di droga disponibile sul mercato? Non è meglio
venderla in farmacia a pochi euro, con obbligo di identificazione per i minori,
eliminando così mercato clandestino e criminalità indotta? E, quanto al
patrimonio artistico e naturale. Non è meglio vendere le spiagge, con l’obbligo
di rispettare progetti edilizi che valorizzino l’ambiente (ogni violazione deve
essere causa di risoluzione del contratto senza diritto alla restituzione di
quanto pagato), piuttosto che assistere inerti al sacco del litorale in cambio
di quattro soldi per le concessioni? Non è meglio vendere i siti archeologici, addossandone i
costi della manutenzione agli acquirenti, invece che contemplare il loro
degrado consolandosi con “abbiamo fatto quello che abbiamo potuto?” Anche qui,
ovviamente, consentendone lo sfruttamento commerciale nel rispetto vincolante
di progetti predisposti dallo Stato: alberghi, ristoranti, siti commerciali;
tutta roba che c’è già, spesso abusiva, quasi sempre orribile.
Certo che è meglio. Ma non si fa. Per
ipocrisia: lo Stato ha il compito di reprimere prostituzione e traffico di
droga, di tutelare il patrimonio artistico, culturale e naturale; lo sta
facendo e lo farà sempre meglio. Per demagogia: il patrimonio artistico,
archeologico e naturale è di tutti; mai ne consentiremo la privatizzazione per
il godimento di pochi. Per ideologia: prostituzione e droga sono peccato; non
se ne può diventare complici regolamentandoli. Fantastico. Visiteremo
Pompei incespicando in pezzi di mura crollate, pungendoci con siringhe
abbandonate e calpestando preservativi infetti.
Riporto qui un interessante scambio di opinioni con l'amica Camilla:
PARTE 1
Camilla:
Sono d'accordo quando si dice che lo Stato opera nel modo sbagliato (il risultato è evidente: assenza di risultato) sono d'accordo con il fatto che la repressione non sia la soluzione migliore, la più facile per "lavarsene le mani" ma non quella giusta per migliorare le cose e che opera in modo distruttivo e non costruttivo, ma non sono d'accordo che la sua alternativa sia la regolamentazione. Se tutto quello che non è "giusto" (e sappiamo tutti e due che su questa parola si potrebbe aprire una discussione lunga ben più di una notte), se tutto quello che è difficile far rispettare si regolamentasse, allora non servirebbe più a nulla la legge, e piano piano ci troveremmo a regolamentare anche eventi ben più gravi, come ad esempio gli omicidi, per fare un paradosso. Tra l'altro anche la regolamentazione non è una soluzione così valida, basti guardare i trust, le multinazionali, le emissioni di gas, le discariche...è vero ci sono paesi in cui le cose funzionano, ma probabilmente il fatto che funzionino viene da qualcosa di molto più radicato della sostituzione soppressione-regolamentazione, e sicuramente anche loro avranno divieti vincolanti, è giusto imparare dagli altri ma poi bisogna anche verificarne la funzionalità sulla nostra pelle.
Michele Gregorini:
La legge è regolamentazione. Paradossalmente, anche l'omicidio è regolamentato (legittima difesa, colposo..) e il problema con le multinazionali è proprio l'assenza di una regolamentazione altrettanto "multinazionale", che di fatto sarebbe la soluzione più naturale, e lo stesso si può dire dei gas serra (vedi i vari summit sul clima, dove non si riesce a trovare un accordo sulla regolamentazione appunto).
Mi sbaglio?
Aggiungo che per ore "sulla nostra pelle" sappiamo che la "spppresione" non funziona, forse sarebbe il caso di provare qualcosa di diverso.. Tipo la regolamentazione
Camilla:
secondo me sarebbe ora di provare qualcosa di diverso tipo l'educazione! Peró sappiamo anche che non possiamo essere tutti d'accordo, altrimenti il mondo andrebbe troppo bene (questo solo per dire che colgo le tue argomentazioni ma sono convinta delle mie, il risultato sarebbe solo un continuare a parlarne! che è comunque un passo avanti rispetto agli "standard"!)
Ah solo una cosa, le regolamentazioni riguardo a multinazionali gas eccetera ci sono, solo che non sono quelle che vorrebbero quelli che fanno i summit, per questo li fanno. Ci saranno sempre regole che a qualcuno non van bene (e con questo non voglio dire che condivido tutte le regole/leggi/regolamenti/normative che ci sono, il discorso verte sulla funzione generale!)
PARTE 2
Michele Gregorini:
Parlarne è un modo per trovare la soluzione condivisa, io sono pronto a rinunciare alle mie argomentazioni quando ne trovo di migliori
Purtroppo non ci sono regole "globali" su emissioni inquinanti (vedi differenze tra USA e europa) né tantomeno su multinazionali, e questo è il motivo per cui le aziende producono in Paesi in cui la legislazione è debole e ne traggono vantaggio (come è naturale che facciano). No?
Camilla:
Ma infatti quello che io dico, non é che le regole che ci sono son giuste o sbagliate, il presupposto da cui parto io è che manca la concezione di seguire la regola, o comprendere la regola e questo non si ottiene sicuramente con un'applicazione soppressiva, ma nemmeno continuando a regolamentare. Il problema di base per me non è una legislazione debole, ma una disapplicazione della legislazione stessa permessa da una mancanza di educazione.
Michele Gregorini:
Ottimo, quindi tu dici che il problema è che talvolta quando la regola c'è non è rispettata. Sono d'accordo, ma per tornare all'argomento dell'articolo secondo me il problema è che in troppi contesti al posto di una regola che ci conceda di fare qualcosa entro certi limiti abbiamo un divieto che ci priva di ogni libertà. E il mio punto è: "regolamentare è (sempre) meglio di proibire". O, per citare qualche economista, "le tariffe sono meglio dei divieti". Poi certo il rispetto per le regole deve venire di conseguenza, ma probabilmente è più semplice "accettare le condizioni" di un'intelligente regolamentazione che subire passivamente un assoluto divieto.
Camilla:
Sono d'accordo che regolamentare sia meglio che vietare a prescindere, quello che io dico é che una regola che vieta di fare qualcosa é comunque una regolamentazione e il problema secondo me non sta alla base del divieto ma alla base di come viene fatto rispettare o ancor meglio dei provvedimenti in caso non venga rispettato. Per rifarmi all'articolo quando si parla di droga sono pienamente d'accordo che riempire le carceri di piccoli spacciatori che si danno il turno dietro le sbarre e quando escono sono ancora allo stesso punto di prima, non sia la soluzione corretta, ma sono egualmente convinta che vendere la droga in farmacia non eliminerebbe il commercio illegale, gli incidenti del sabato sera ecc. ecc.
PARTE 3:
Michele Gregorini:
Solo per convenzione, possiamo chiamare "regola" una norma che consenta qualcosa con determinate condizioni e "divieto" una norma che invece lo impedisca completamente?
Quindi in questo caso ora vige il "divieto" di vendere sostanze stupefacenti. E questa norma ha come conseguenza il commercio illegale (e il finanziamento di guerre e quant'altro), l'abuso, i reati connessi e - last but not least - la totale inefficienza economica per lo stato, che si trova a sostenere spese mediche per chi fa uso di droghe senza ricavare nulla dalla vendita (in nero) di queste sostanze (e anche solo questo punto è una montagna insormontabile). Come sappiamo anni di scuola, incontri e spot televisivi non eliminano il problema ma se anche avessimo un metodo efficace per "reprimere" il bisogno, sarebbe davvero "giusto" applicarlo? Certo il concetto di "giustizia" è complesso, ma partendo dal presupposto che ognuno debba essere libero di fare tutto ciò che vuole nei limiti del rispetto della libertà altrui, "vietare" è davvero una scelta coerente? O piuttosto una società che voglia davvero tutelare la libertà personale deve trovare modalità (= regole) perché ognuno possa fare ciò che preferisce, nel rispetto di ogni altro individuo?
Certo forse neppure questo eliminerebbe "del tutto" i problemi collaterali (commercio illegale, incidenti), ma certamente permetterebbe un grande passo avanti nella soluzione. Non essendo un utilizzatore di sostanze stupefacenti non posso che fare congetture, ma presumo che tanti preferirebbero il prodotto certo e "garantito" che trovano in farmacia rispetto alla sostanza ignota nelle mani dello spacciatore (soprattutto quando ci sono di mezzo soldi e salute; soldi soprattutto). In fin dei conti mi sembra che con le "normali" sigarette funzioni proprio così.
Camilla:
Ripeto che secondo me non è cosi, ovvero (per restare sull'esempio) non é legalizzando il commercio di droga che si eliminerebbe il problema del mercato nero, non credo lo si limiterebbe eccessivamente, anni di scuola, incontri televisivi e spot non hanno eliminato il problema perchè non sono stati fatti con il giusto metodo costanza e intento, e sinceramente (e parlo anche io come non consumatrice) non credo che chi fa uso di droghe preferirebbe comprarle in farmacia piuttosto che dallo spacciatore in nero, perchè se le "regolamentiamo" ci deve essere un limite, e se io sono dipendente, ne vorró sempre di più e in farmacia non me ne daranno e allora andró a cercarne da altre parti, anzi regolamentando l'utilizzo delle droghe, il rischio è l'opposto, io che non ho mai comprato droghe perchè è illegale inizio a comprarle perché invece ora è legale, divento dipendente, non ne posso fare a meno ed eccomi come acquirente del mercato nero! E poi é vero che ognuno è libero di fare qualunque cosa fino a che non lede la libertá altrui, ma uno strafatto (per dirlo in maniera gergale) che si schianta contro un altro non la lede? e lo stesso per conto mio vale per le "normali" sigarette, uno è libero di fumare come una ciminiera e farsi venire un tumore, ma perché deve farlo venire anche a me con il suo fumo passivo? Alla fine anche la regolamentazione (anche se più che altro è di liberalizzazione regolamentata che stiamo parlando) non ha tutta questa efficacia, e anche il risvolto economico si vede solo nelle tasche di chi "ha le mani in pasta" e non dello Stato stesso.
Con questo non voglio dire che ci sia una cosa "giusta" e una cosa "sbagliata", o che regolamentare e liberalizzare alcuni settori non vada bene, con questo voglio dire che il presupposto é piú profondo, che non è mettendo regole che si può sperare che la gente le rispetti, anzi piú regole ci sono piú é facile trovarne una che mi permetta di frodare le altre!
PARTE 4:
Michele Gregorini:
Non riesco a cogliere quale sarebbe la differenza tra le "normali" sigarette e gli "stupefacenti" se la normativa fosse la stessa per entrambe le categorie. Non c'è un mercato nero delle sigarette (anzi forse c'è, ma presumo che la maggior parte dei consumatori compri secondo i regolari canali), non ci sono limiti alla quantità di nicotina per persona, ma solo ai luoghi in cui è consentito fumare (e così sarebbe anche per gli stupefacenti), ovviamente lo stesso vale per la guida (vedi limiti per l'alcohol). Non voglio insistere tediosamente sulla questione stupefacenti, ma davvero non colgo il motivo per cui per alcune sostanze la normativa preveda un "divieto" (es. stupefacenti) e per altre - potenzialmente ugualmente pericolose - invece si parli di regole/norme di utilizzo (es. alcohol, fumo...).
E il risolto economico è mastodontico. I danni provocati dagli stupefacenti ora sono pagati dalla collettività intera, e questo è profondamente ingiusto. Nel caso del tabacco, invece, il prezzo di vendita comprende un'alta percentuale di tasse, che (idealmente) rimborsa la collettività per i danni che il fumo genera, e questa è vera "giustizia". D'accordo potrebbe essere un parallelo mercato nero, potrebbe esserci contrabbando e quant'altro, ma allora si può discutere sul "come fare" e non sul "se fare". E in ogni caso si potrebbe anche solo provare, i numeri potrebbero parlare da soli già dopo pochi mesi, soprattutto considerando che già sappiamo quanto è grave il problema ora (e siamo nelle contesto di un divieto assoluto).
Come dicevo prima, concedere qualcosa a delle condizioni (regole) è tremendamente più facile da accettare che un divieto assoluto. Certo a qualcuno i limiti non piaceranno, ma i più si adattano alle regole del gioco pur di giocare. Se invece vige solo il divieto non vince nessuno: chi mette il divieto lo vede infranto, che subisce il divieto nel momento in cui lo infrange è libero di fare ciò che vuole (senza limiti).
[Chiarimento extra discorso: non è che io sia un promotore degli stupefacenti, anzi penso che nella società ideale nessuno ne utilizzi e io per primo non ne faccio uso; però sono estremamente legato all'idea che la (massima) libertà personale sia la prerogativa di ogni società evoluta, in cui nessun individuo può elevarsi a giudice degli altri e dire cosa debbano o non debbano fare di loro stessi]
Camilla:
Chi mette il divieto lo vede infranto non perché manca la regolazione o la concessione di qualcosa ma perché le persone non hanno il concetto di regola. Quello che sostengo io non è che la regolamentazione sia sbagliata, probabilmente ci sono molte cose che a oggi sono "semplicemente" vietate che potrebbero essere liberalizzate, quello che dico è che la regola non é una soluzione al suo non-rispetto, il problema è ben piú profondo e non é soluzionabile liberalizzando ogni cosa. Detto questo sono pienamente d'accordo sul fatto che sarebbe ora di cominciare a fare, anche sbagliando e ritentando (forse i numeri risponderebbero più che in qualche mese ma comunque se qualcosa si smuove le persone cominciano, almeno, a farci caso) e smettere di parlarne e basta.