Alta Via dell'Adamello Orientale (Progetto)


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Idea dei Diavoli del Salarno (presa dalla loro pagina Facebook, con semplici modifiche / tagli).

Programma giornaliero:

  1. Bazena - Passo dell'Asina - Lago della Vacca - Cima di Laione - Passo del Termine - Val di Leno - Lago di Boazzo - Val Danerba - Bivacco Casina di Danerba
  2. Bivacco Casina di Danerba - Porta di Danerba - Cop del Breguzzo - Valle di San Valentino - Valle Dosson - Bocca di Conca - Val di Conca - Rifugio Carè Alto
  3. Rifugio Carè Alto - Vedretta di Lares - Corno di Cavento - Passo di Cavento - Vedretta della Lobbia - Passo della Lobbia Alta - Vedretta del Mandron - Lago Mandrone - Passo Presena - Passo Paradiso - Passo del Tonale

Un viaggio straordinario alla scoperta dell'Adamello Orientale, altrettanto entusiasmante ed affascinante rispetto alla parte Centrale ed Occidentale. Sci + Alpinismo + Amicizia: una combinazione insuperabile, invincibile. 

[...] La voglia di partire è tantissima, proprio non vediamo l’ora di caricarci gli enormi, pesanti zaini sulle spalle (Boiler caro, da quanto tempo) e incamminarci verso la Val Fredda col vento che ci prenderà a schiaffi e le pelli che slitteranno su quella specie di cemento armato vetrato che ribatte indietro anche i rampanti. Ma c’è poco da indugiare, dobbiamo arrivare in Val Danerba, che non è proprio dietro l’angolo. Inoltre, dal Passo del Termine in poi, ci muoveremo in una zona a noi completamente sconosciuta (e questo varrà fino al Corno di Cavento, ossia per quasi tutta la traversata), quindi saremo più lenti anche solo per il fatto di dover cercare percorso, passaggi, segnali… oltre ad eventuali imprevisti che potrebbero rallentarci ulteriormente. 

[...] La discesa alla Malga del Gelo, che sorge sul pianoro più alto della Val di Leno, sarà la sciata più bella dell’intera traversata; un gigantesco piano inclinato dalle pendenze ideali (e neve farinosa) dove ci sentiamo davvero piccoli piccoli, schiacciati da tanta bellezza. Piccoli ma euforici. 

[...] La Val Danerba si apre splendida, incantata. Vista da lontano, la Casina, sembra la classica casetta delle Fiabe: tutta in legno, nel mezzo di una bella radura fra i larici, illuminata dall’ultimo sole del pomeriggio. Mentre ci avviciniamo, però, l’entusiasmo diminuisce ad ogni passo lasciando spazio a crescenti perplessità, che trovano l’apice quando ormai prossimi alla baita, adesso in ombra, una grossa croce di legno troneggia davanti alla sfasciata facciata principale, dall’aspetto assai inquietante. 

[...] La partenza arriva come una benedizione e con rinnovato spirito ci avviamo ancor prima dell’alba; ci aspetta una tappa lunga e completamente incognita, il che aumenta l’eccitazione. Il fondo della Val Danerba è veramente suggestivo, un fascino autentico, amplificato dai primi bagliori di chiaro. Iniziamo la salita vera è propria quando il sole alle spalle infiamma i pendii della Monoccola, firmati con le nostre curve di ieri. La Porta di Danerba sembra non arrivare mai e il profondo canalone che ne costituisce l’accesso è ripido e faticoso. Neve da rampanti prima e ramponi poi. Finalmente al passo, iniziamo un lungo traverso ascendente in direzione del Cop del Breguzzo (la nostra cima della giornata), che individuiamo senza fatica; ci troviamo nell’ampio teatro dominato dal Corno di Trivena e dai Cop, di Breguzzo e di Casa. Tutto appare evidente e siamo raggianti, come la giornata. La salita alla cima è una facile cresta di misto, ben tracciata, ideale per sgranchire braccia e gambe. Panorama di valore assoluto dalla vetta; da troppo tempo volevo conoscere questa parte importante di Adamello. Senza fretta torniamo ai Boiler e ci rimettiamo in assetto da discesa, pronti per la parte cruciale della tappa; dobbiamo scendere nella Valle di San Valentino per poi risalire la Valle Dosson fino alla Bocca di Conca; da lì penseremo a come arrivare al Rifugio Carè Alto. Pare sia una zona molto poco frequentata e, infatti, se fin ora qualche traccia l’abbiamo sempre trovata, non appena valichiamo la cresta che scende dal Cop di Casa, delimitando la Valle, qualsiasi segno di passaggio scompare e la sensazione d’isolamento cresce a ritmo esponenziale.

Ecco l’Adamello che piace a noi, ecco quello che cercavamo. Dopo una goduriosa sosta poco oltre il Bivacco Dosson, dove troviamo preziosa acqua corrente, ci alziamo lungo la valle schiacciati dalla meravigliosa maestosità della Parete Sud del Carè Alto, che si staglia luminosa di fronte a noi. E’ un momento di fortissima emozione, che si aggiunge ai tanti che non dimenticheremo. Non siamo troppo sicuri di quale sia la Bocca di Conca e ci dirigiamo verso la massima depressione della cresta Sud Est del Carè, che è la cosa che assomiglia di più a un passo. Quando oltre a noi si apre la profonda Val di Conca e in lontananza riusciamo a scorgere il rifugio abbiamo la conferma della bontà del nostro intuito. Manca poco e iniziamo a pregustare la comodità di un letto vero (ma tacciamo per scaramanzia, visti i precedenti). Non sarà così banale, comunque, arrivare a destinazione, in quanto, per non perdere quota e finire troppo bassi dovendo poi risalire, ci ingaggiamo in un traversone a mezza costa (ripida) piuttosto aereo che, visto poi, fa una certa impressione. Siamo sulla terrazza del rifugio (nido d’aquila eccezionale) per l’ora della merenda, con tutto il tempo per sbrigare le faccende “domestiche”, fra le quali cercare di capire col chiaro quale sia il passaggio migliore per superare il profondo salto di roccia che divide il rifugio dalla Valle di Borzago, altrimenti domattina al buio ci perdiamo le ore.

[...] Partiamo molto presto domenica mattina, lo zero termico si alza parecchio e non vogliamo sorprese. Mentre scendiamo con picca e ramponi il ripido canale/pendio che da sopra il rifugio ci permette di raggiungere la parte alta della Valle di Borzago, ci rendiamo conto di quanto sia stato prezioso e strategico il sopralluogo del pomeriggio; alla cieca, con questo buio, non ci saremmo mai infilati giù di qui… La luce della luna fa brillare il Sass de la Stria che spunta come un obelisco dalla bianca testata, costituendo un fondamentale punto di riferimento per raggiungere il ghiacciaio. Ci orientiamo facilmente e, calzati gli sci, iniziamo quella che sarà la salita più bella dell’intera traversata. Siamo esposti perfettamente ad Est, entrando così a far parte del capolavoro dell’alba. Come ammirare un quadro enorme ma dall’interno, da protagonisti. Ad ogni passo c’è una luce diversa, una sfumatura nuova, un colore in più. L’orizzonte è in fiamme, Il vento è la colonna sonora. Poi d’improvviso il primo raggio: la magia è compiuta. Un rito che si compie ogni giorno, da sempre. Da sempre, per chi lo vive, d’un’intensità sconvolgente.

Poco dopo l’alba siamo sulla Vedretta di Lares dove, per quanto spettacolare, non possiamo che constatare amaramente le pessime e deprimenti condizioni del ghiacciaio, dalla pala del Carè Alto, inguardabile, all’ormai sempre più isolato Lago di Lares. Ma si sapeva, purtroppo. Puntiamo decisi al Corno di Cavento compiendo un largo e redditizio semicerchio e la sensazione è di trovarsi ad attraversare un mare in tempesta, pietrificato; Il vento ha lavorato con feroce insistenza. Molto suggestivo ma piuttosto scomodo con gli sci ai piedi che s’impuntano negli enormi sastrugi.
Raggiungiamo la panoramicissima cima senza difficoltà e velocemente sciamo al Passo di Cavento, ormai diventato molto disagevole da valicare, su entrambi i vesanti, per l’abbassamento del ghiaccio. Ennesimo cambio dì assetto. Il lato Est non presenta rogne particolari mentre scendere ad Ovest, sulla Vedretta della Lobbia, necessità di un po' di mestiere e cautela, soprattutto per il crepaccio terminale che separa il ripido pendio dalla Vedretta vera e propria. Non descriveremo come abbiamo superato quest’ultimo per non perdere quel briciolo di dignità che ci siamo guadagnati fin ora, così come ci auguriamo che nessuno abbia visto la scena…

Scivoliamo rilassati ai piedi del Crozzon di Lares in direzione del neo valloncello alla base del Passo della Lobbia Alta. Prima di rimettere le pelli diamo fondo alle provviste rimaste sforzandoci di non vomitarle subito dopo, quando, rimontando al passo, passiamo a fianco del nuovo mastodontico impianto che oltraggia il luogo senza alcun ritegno. L’ennesimo sfregio dell’uomo alla natura e, nella fattispecie, ad un luogo che meriterebbe rispetto anche solo per la storia che racconta.

Ormai siamo a casa. La sciata verso il Mandrone si rivela più divertente del previsto per via della farina accumulata dal vento; ci voleva proprio. Si sentono i canti delle Sirene del Valletta e del Pisgana ma noi, stoici, restiamo fedeli alla linea. Se Alta Via Orientale dev’essere, lo sia fino in fondo; all’estremo Oriente: al Tonale. [...]

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