"Voglio tornare in Italia, dopo tanti anni a Londra. Ho sempre detto che sarebbe successo (...) Premetto di non essere l’emigrato che sogna un’Italia che forse non è mai esistita. Anzi, ho sempre frequentato tantissimo il nostro paese. Lo dico perché non mi si opponga la storia dell’idealizzazione di qualcosa lontano.
Londra ti può uccidere piano piano. Prima ti attrae per l’anonimità, perché non ti senti osservato. Poi ti sfibra con il lavoro asettico, ti ipnotizza con il pendolarismo in metro, le distanze ed il cielo grigio, con gli sguardi così obliqui e le parole senza vibrazioni. Ti anestetizza e credi che quello sia l’unico modo di vivere. Infine scopri che l’anonimità e la libertà nascondono spesso una carenza di un’ideale di società (condivisibile o no), un difetto di ‘credo’ ed emozioni forti che si confonde con la dovuta tolleranza. E quando hai figli, incominci a pensare. Perché io credo nel tramandare la propria cultura, i propri princìpi e valori, nel mostrare loro una strada: io sono parziale, perché sto dalla parte di ciò in cui credo.
(...) Non importa che la cultura italiana sia più bella, mi basta sia unica e nostra. Essere italiano è una risorsa che mi ha aiutato tantissimo, ma è un bene intangibile che si acquisisce lentamente, con le amicizie, i ricordi, un patrimonio comune di film guardati, canzoni cantate. È questo che voglio tramandare ai miei figli. Vorrei per loro la luce, un’estate lunga, la presenza e gli affetti della famiglia allargata, il vivere la socialità all’aperto. Andare in motorino. Non sono luoghi comuni, è vita reale. Le onde e le montagne, il cielo azzurro e le stelle di San Lorenzo, il vento tiepido d’estate con il suo senso di fibrillazione, quella signora che in un giorno torrido mi offrì un bicchiere d’acqua. (...) Ma per adesso, ogni giorno se ne va un piccolo pezzo di me."