Archive for June 2015

The banana experiment


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"Nel 1967 il Dott. Stephenson ha condotto un esperimento in cui erano coinvolte 10 scimmie, una gabbia, una banana, una scala e uno spruzzatore di acqua gelata. Stephenson rinchiude 5 scimmie in una grande gabbia. All’interno della gabbia mette una scala e sulla scala  un casco di banane. 

Le scimmie si accorgono immediatamente delle banane e una di loro si arrampica sulla scala. Appena lo fa, però, lo sperimentatore la spruzza con dell’acqua gelida. Poi riserva lo stesso trattamento alle altre 4 scimmie. La scimmia sulla scala torna a terra e tutte e 5 restano sul pavimento, bagnate, al freddo e disorientate. Presto però la tentazione delle banane è troppo forte e un’altra scimmia comincia ad arrampicarsi sulla scala. Di nuovo lo sperimentatore spruzza l’ambiziosa scimmia e le sue compagne con l’acqua gelata. Quando una terza scimmia prova ad arrampicarsi per arrivare alle banane le altre scimmie, volendo evitare di essere spruzzate, la tirano via dalla scala malmenandola. Da questo momento le scimmie non proveranno più a raggiungere le banane.

La seconda parte dell’ esperimento prevede l’introduzione di una nuova scimmia nella gabbia. Appena questa si accorge delle banane prova naturalmente a raggiungerle. Ma le altre scimmie, conoscendo l’esito, la obbligano a scendere e la picchiano. Alla fine anche lei, come le altre 4 scimmie, rinuncia a mangiare la banana senza mai essere stata spruzzata con l’acqua gelata, quindi senza sapere perché non potesse farlo.

A questo punto un’altra scimmia scelta tra le 4 originarie rimaste, è stata sostituita con una nuova. Il nuovo gruppo era composto da 3 delle scimmie iniziali (che sapevano perché non tentare di prendere la banana), 1 scimmia che aveva imparato a rinunciare alla banana a causa della reazione violenta delle altre e 1 scimmia nuova. La scimmia nuova, come previsto, tenta di raggiungere la banana. Come era avvenuto con la scimmia precedente, le altre scimmie le impediscono di raggiungere il frutto senza che il ricercatore dovesse spruzzare dell’acqua. Anche la prima scimmia sostituita, quella che non era mai stata spruzzata ma era stata dissuasa dalle altre, si è attivata per impedire che l’ultima arrivata afferrasse la banana.

La procedura della sostituzione delle scimmie viene ripetuta finché nella gabbia sono presenti solo scimmie “nuove”, che non sono mai state spruzzate con l’acqua. L’ultima arrivata tenta naturalmente di avvicinarsi alle banane ma tutte le altre glielo impediscono:  nessuna di esse però conosce il motivo del divieto!

Stephenson descrive l’atteggiamento inquisitore dell’ultima scimmia arrivata, come se cercasse di capire il perché del divieto di mangiare quella banana così invitante. Nel suo racconto le altre scimmie si sono guardate tra loro, quasi a cercare questa risposta. Il problema è che nessuna delle scimmie presenti la conosceva, perché nessuna era stata punita dallo sperimentatore per averci provato, era stato il gruppo a opporsi. Una nuova regola era stata tramandata alla generazione successiva, ma le sue motivazioni erano scomparse con la scomparsa del gruppo che l’aveva appresa.

Non smettere di indagare, di chiedere, di trovare nuovi paradigmi. Spesso il nostro modo di agire è solo il frutto di azioni che ripetiamo perché l’abbiamo visto fare da altri, senza sapere bene il perché. Cambiate le vostre abitudini. Non abbiate paura."

Approfondimenti
  • Stephenson, G. R. (1967). Cultural acquisition of a specific learned response among rhesus monkeys. In: Starek, D., Schneider, R., and Kuhn, H. J. (eds.), Progress in Primatology, Stuttgart: Fischer, pp. 279-288

Tratto da Dionidream

"La gioia di camminare in montagna" di Marta Pederzani


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Una bellissima "lettera al giornale" dell'amica Marta Pederzani:

Nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque? Come non vedere che null’altro la natura chiede con grida imperiose, / se non che il corpo sia esente dal dolore, e nell’anima goda / d’un senso gioioso sgombra d’affanni e timori? Così Lucrezio, nel De Rerum Natura. E così è per me, quando vado in montagna. Perchè davvero, ogni passo con gli scarponi, sul terreno soffice del sottobosco, sul sentiero, lo sento come quel «grido imperioso»: «Sii contento, guardati attorno! Sei nella natura e non potrebbe essere più giusto di così!» E forse è proprio per questo che la montagna mi fa stare così bene: perchè è semplice, e faticosa, ma dietro l’angolo c’è sempre qualcosa che ti sorprende: che sia anche un bucaneve, o un animaletto o un raggio di sole che filtra tra gli alberi... e quindi mi fa pensare un po’ alla vita, che di certo semplice non è, ma può avere le sue belle sorprese, e camminare mi aiuta a sperarci. 

Una delle cose che più mi intriga della montagna, sarà banale, ma sono i segnavia. Quei colori smaltati e vividi sulle pietre, o sui tronchi, al di là del conforto che danno, soprattutto diciamocelo, quando non abbiamo tutto questo senso dell’orientamento e ci aiutano a non perdere la via, per me sono qualcosa di più. Sono la traccia di persone e vite che, prima di me, sono passate per quel punto. Hanno trovato un sentiero per arrivare in vetta e hanno faticato, si saranno divertiti? Con che passo avranno percorso quella via? Quanti erano? Quanto ci avranno impiegato? E quanto tempo fa? Ma, soprattutto, hanno voluto lasciarci un aiuto, perchè anche altri, dopo di loro, potessero godere di questa fantastica avventura che abbiamo a due passi e spesso non ce ne accorgiamo. 

La montagna è anche solidarietà tra gli uomini davanti alla natura, che è ventre accogliente ma anche anche spesso la cattiva matrigna leopardiana: penso soprattutto alle vie rocciose, è lì che la solidarietà degli scalatori esce in tutta la sua forza. Gli affanni e i timori di cui ci parla Lucrezio: chi non ne ha? La montagna ovviamente non è una panacea miracolosa che annulla tutto... se una camminata bastasse a cancellare esami o bollette, la montagna sarebbe un posto pieno e invivibile! Ma quello che la montagna, da che ne ho ricordi, mi dà, è proprio quel «iocundo sensu». Iocundus in latino ha una sfaccettatura di significati, e il ventaglio di sensazioni che le escursioni mi danno è proprio quello. 

Prima di tutto, onore alla parte bambina che c’è in noi, e grazie parte bambina che ci ricordi quanto sia giusto ridere e divertirsi, la montagna è gioco. Perché, e credo nessun escursionista lo possa negare, il bello di andare in montagna è anche quel senso di scoperta e di avventura, di bivi tra cui scegliere, rumori da ascoltare, di corse fatte in discesa, quasi a chi arriva giù’ per primo! E poi preparare lo zaino, la sera prima. Che ci metto? Porto un dolce per tutti? Vado di cioccolata! Il mio zainetto, fa un po’ ridere, io lo chiamo: «Il mio compagno di avventura», perché è sempre lì, pronto, appena decido una meta. E se anche la meta è troppo ambiziosa o io sono un po’ stanca, lui è lì, quasi a dirmi: fai tu, in ogni caso, io ci sono! 

Poi, dicevo, iocundus come lieto. Sarà la fatica che ti fa concentrare su gambe e fiato, sarà il panorama, che il fiato te lo toglie, ma mentre cammino i problemi diventano più leggeri, meno zavorra e più ottimismo... la montagna infonde positività. 

E, infine, iocundus come gradito: la montagna è quella presenza discreta che ti sta accanto come l’amico più spontaneo: mai invadente quando sei pensieroso, mai insistente se hai qualcosa che non va, né curiosa se hai qualcosa che ti rende felice. Semplicemente è lì, la compagnia più piacevole che puoi desiderare. 

Parlando di compagnia, l’altro grande motivo per cui adoro andare in montagna, sono proprio i compagni di escursione. Perchè se da un lato in montagna cerco il silenzio ed evito la confusione, dall’altro in montagna incontro persone che, almeno per una passione, sono simili a me. E se anche non lo sono, è fantastico parlarci mentre si sale insieme. In salita, si sa, c’è poco fiato, e non lo sprechiamo per dire frasi superficiali, repertorio da feste e presentazioni banali. Camminando pensiamo a cose serie e dosiamo le parole, e questo per un dialogo è la costruzione migliore che si possa chiedere. Che io sia un’inguaribile ottimista e forse un po’ sognatrice, ma credo seriamente che la montagna tiri fuori il lato buono delle persone, quel lato onesto, che tutti abbiamo, perché in montagna non si bara. E così le persone che conosco in montagna, per quanto io sia di natura diffidente, mi sembrano leali, e anche se solo per una giornata, sono i miei compagni di viaggio, ed è un legame di cui noi uomini abbiamo bisogno. 

Tutti percorriamo una via e tutti abbiamo persone accanto a noi nel percorso. E per me così è davvero: in montagna sto conoscendo moltissime persone e direi anzi moltissime belle persone, con cui sono nate amicizie e rapporti profondi, e per questo devo ringraziare il gruppo Escursionisti Unibs (siamo su facebook, cercateci!), che una ragazza ha avuto la grande idea di fondare (Carlotta Giovannelli) e le sono stata molto grata appena l’ho scoperto. Cercavo proprio qualcuno per andare in montagna, un po’ perché non essendo esperta non mi fidavo a salire in solitario, un po’ perché non conoscendo mete andavo sempre sui soliti monti e un po’ per incontrare gente che condividesse questa mia passione. Così è stato, e come al solito il merito è un po’ del gruppo e un po’ del progetto. 

Quindi grazie a voi, alle «vette» conquistate insieme e a quelle che conquisteremo, alle nostre inziative e alla carica che condividiamo, che insieme aumenta! E grazie alla montagna: grazie alla voglia di partire la sera prima; grazie al sonno della levataccia; grazie al piacevolo brividino dell’inizio sentiero; grazie al fiato che inizia a diventare corto e il battito ad aumentare quando il sentiero «rampèga» come si dice in dialetto; grazie alle gambe che non mi mollano nella salita; grazie al sentiero che a tratti dolce e a tratti severo, come solo un genitore o un buon maestro può essere, mi porta in cima; grazie ai tratti di bosco che mi ricordano le favole; grazie alle radure e alle soste, col cibo condiviso; grazie alla cima che mi si apre davanti, dove c’è sempre una croce o un monumento, dove ti senti soddisfatto davvero e sereno, un po’ in cima al mondo; grazie alla vista che mi si offre davanti, alla vertigine che mi dà, soddisfazione e insieme spinta per esplorare le altre montagne che posso vedere. Insomma, soprattutto grazie, perché le cose belle vanno apprezzate e condivise, quindi le montagne sono lì gente, fatevi una camminata! 

Concluderei con le parole di una preghiera scout, perchè l’ho letta e condivido: «Per il vento che ci batte sul volto e ci reca la gioia di terre lontane, per le albe piene di fiducia e per i tramonti ricchi di pace».

Il mio (non tanto) lungo inverno. Parte 2.


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Non ho fatto proprio in tempo ad assistere al temibile inverno Australiano - diciamo che l'ho schivato anche questa volta - ma comunque ho vissuto almeno gli ultimi mesi d'autunno caratterizzati da un andamento schizofrenico delle temperature (un giorno in maglietta, un giorno con maglione e giacca a vento).

Il lavoro è proseguito bene, non sempre veloce ed efficiente, ma comunque pian piano si aggiungono piccoli pezzi (beh neanche tanto piccoli) e si delineano sempre meglio i contorni della centrale. Ci sono ancora un bel po' di elementi mancanti ma considerando la poca forza-lavoro direi che i progressi sono notevoli, e non manca molto ai primi exciting test. Nonostante le mie mansioni non siano state sempre entusiasmanti o "leggere" devo dire che l'esperienza è stata ancora una volta utile ed istruttiva, coordinare e lavorare con altre persone non richiede solo capacità di pianificazione e organizzazione del lavoro (per evitare tempi morti e ridondanze..) ma anche e soprattutto l'abilità di riconoscere le problematiche e le esigenze altrui (cosa le persone preferiscono fare, come vorrebbero lavorare..). Certamente si potrebbe ignorare ogni forma di dialogo e portare avanti il lavoro a modo proprio, ma probabilmente a lungo andare ci si renderebbe conto che le persone lavorano meglio quando si sentono prese in considerazione e quando si cerca un punto di accordo nonostante le esigenze e le personalità diverse, e così non sono mancati i momenti di confronto e dialogo, parte integrante del lavoro in struttura gerarchica.

La vita a Jemalong è stata - come mi aspettavo - un po' troppo tranquilla e "isolata", nonostante fossimo ancora un ottimo gruppo di colleghi e non mancassero mai le occasioni di trascorrere tempo insieme anche dopo il lavoro per divertirsi e stare in compagnia. In particolare ho trovato un gruppo di colleghi che mi ospitava a cena tutti i giorni e con loro si è creato un rapporto di amicizia ancora più intenso - anche perché così facendo hanno impedito che mi alimentassi a pasta e wurstel in modo continuativo..!

Ma, si sa, talvolta bisogna cambiare i piani in corso d'opera e per svariati motivi  ("tecnici") ho dovuto anticipare un po' il rientro nell'emisfero nord. Poco male, in fin dei conti il bello è davvero l’imprevedibile. E così a fine Maggio ho organizzato il lavoro in modo da poter continuare da remoto e ho salutato - di nuovo - tutti i colleghi e gli amici. Sono rientrato a Sydney con alcuni colleghi, ho trascorso un tranquillo sabato a sistemare le ultime faccende e la sera sono decollato con in testa tante nuove idee e progetti per i prossimi mesi.