Archive for April 2013

Generation jobless


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La generazione perduta (e senza lavoro), in realtà, non è tema nuovissimo. Il salto di qualità sta però nella mutata percezione del problema da parte della Bibbia del giornalismo anglosassone. Il settimanale "The economist" – termometro dell’intellighenzia occidentale – ammette ora che il problema numero uno degli anni ’10 sia proprio questo. Se per decenni era stato confinato ai Paesi in via di sviluppo e il corollario ne era la massiccia immigrazione verso quelli avanzati (con le relative tensioni sociali per i cambiamenti demografici che ciò comportava) ora la Grande Crisi certifica per la prima volta il dietrofront nelle condizioni di vita delle nuove generazioni. Costrette a ripensare i propri stili di vita, rispetto alle scelte (anche in termini di consumi) dei propri genitori. 

Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e autore del famoso pacchetto che disciplinò il lavoro interinale e le forme contrattuali atipiche, dice alla Nuvola che “l’emergenza non è comune a tutti Paesi dell’area Ocse, tanto meno dell’area Euro se la Germania – ad esempio – vive il momento di massimo splendore in tema di occupazione giovanile”, con percentuali di senza lavoro persino al di sotto della soglia fisiologica di un’economia matura (4%). Le ricette, in questi anni, ne sono state presentate tante. Come i fallimenti, perché finora nessuno è riuscito a contestare l’assunto alla base delle teorie macro-economiche, secondo il quale solo la crescita produce occupazione. E allora in una situazione di stagnazione persistente, con un decennio di crescita zero (o negativa) l’Italia come può mitigare gli effetti della generation jobless? “Il punto di partenza – dice Treu – deve essere lo Youth Guarantee”. E’ un vasto programma nato sotto l’egida dell’Unione Europea che ha lo scopo di assicurare a tutti i giovani al di sotto dei 25 anni offerte di lavoro di buona qualità, una formazione senza interruzioni, un apprendistato o un tirocinio entro quattro mesi dal momento in cui restino disoccupati o abbandonino gli studi.

[...] Al netto delle best practice di estrazione nordica il quadro per l’Europa mediterranea risulta rovesciato. Se la Grecia e Spagna hanno percentuali di disoccupazione giovanile oltre il 50%, in Italia il dato è più basso ma è altrettanto preoccupante (37,1%). “Sono numeri frutto del combinato disposto della Crisi e delle politiche di allungamento dell’età pensionabile per adeguare meglio l’età lavorativa alle aspettative di vita”, dice Treu. Eppure al netto di riforme sacrosante come quella previdenziale (che ha messo in sicurezza i conti pubblici), la sensazione di sfiducia che colpisce la generazione Millennials finisce anche per investire anche i meccanismi della rappresentanza e rischia di premiare i movimenti euro-scettici a causa di un’architettura comunitaria politicamente ancora molto fragile. [...] In un quadro così fosco – all’interno di una congiuntura internazionale così sapientemente descritta dall’Economist – Treu sottolinea anche le luci. Come l’ultimo decreto sulle start-up (e azzeramento del cuneo contributivo per le nuove assunzioni) che incentiva le iniziative imprenditoriali in ambito tecnologico e artigianale: “Si riparta da qui, anche attraverso una Banca per i giovani, che eroghi credito a tassi agevolato magari con la copertura statale che si assuma il rischio-insolvenza dei debitori” (attraverso la Cassa Depositi e Prestiti?). Per ora c’è solo la caduta libera, di migliaia di giovani.


Tratto dal Corriere

Nuove scoperte


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"[...] Un giorno del 1850 William Gladstone, cancelliere dello Scacchiere della regina Vittoria, in visita al laboratorio di Michael Faraday, l'immenso pioniere dell'elettricità e del magnetismo, non poté resistere, come spesso capita ai ministri delle Finanze di ogni tempo, a porre la fatidica domanda: «Interessante, ma qual è il suo uso pratico?». Faraday gli rispose con esemplare onestà e preveggenza: «Al momento non saprei, sir, ma è assai probabile che in futuro ci metterete una tassa sopra!». 

Sarebbe impensabile oggi negare l'impatto decisivo che le grandi rivoluzioni scientifiche occorse tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento hanno prodotto sulla nostra attuale qualità della vita, eppure, forse proprio perché siamo circondati dalle straordinarie applicazioni tecnologiche di queste rivoluzioni, la tendenza a considerare la ricerca di base come un lusso si riaffaccia ciclicamente nelle convinzioni (e di conseguenza nelle azioni) dei policy makers.

Ma ogni tecnologia ha un periodo di crescita temporalmente limitato, che la porta inevitabilmente a una saturazione, condannando dapprima allo stallo e poi al declino una società che non ricerchi costantemente i cambiamenti di paradigma e l'innovazione. Per dirla in maniera semplice: se siete capaci a fabbricare candele, farete candele sempre più sofisticate, ma non sarete mai in grado di concepire una lampadina elettrica. Tra la candela e la lampadina c'è un cambiamento di paradigma, nel caso specifico la teoria dell'elettromagnetismo.

Questa costante volontà di ampliare la comprensione delle leggi della natura è la ragion d'essere del Cern di Ginevra, il più grande laboratorio mondiale di fisica fondamentale e una delle più alte intuizioni di un'Europa che voleva riemergere dal disastro della seconda guerra attraverso un cammino comune di conoscenza. Nato nel 1954, ospita una comunità di più di 14 mila fisici, ingegneri e tecnici, che costituiscono uno straordinario ecosistema in cui ricerca di base, tecnologia e formazione concorrono in maniera inscindibile alla realizzazione di questo scopo primario. Il 2012 è stato un anno eccezionale: il 4 luglio, gli esperimenti Atlas e Cms hanno annunciato la scoperta di una particella le cui caratteristiche erano compatibili con il bosone di Higgs, che per più di quaranta anni è stato una sorta di Sacro Graal per la fisica delle interazioni fondamentali. Quello che rende questa particella così speciale è il fatto che essa è la prova regina dell'esistenza del meccanismo che dà origine alla massa di tutte le particelle elementari, un meccanismo che si è messo all'opera un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang e che ha reso possibile la formazione dell'universo e in ultima istanza di noi che lo osserviamo. 

[...] Ci cambierà la vita il bosone di Higgs? Sì e no. Anche se non possiamo al momento pensare a nessuna sua applicazione pratica, la storia ci ha insegnato che le grandi scoperte hanno sempre generato, dopo qualche tempo e in maniera del tutto imprevedibile, fenomenali cambiamenti nella nostra società. Nel 1929, ad esempio, un geniale fisico inglese, P. A. M. Dirac, dedusse l'esistenza dell'antimateria, che poi venne osservata sperimentalmente pochi anni dopo. Nessuno allora avrebbe potuto pensare a un suo uso pratico e ancora oggi la maggioranza delle persone pensano che l'antimateria sia solo un'invenzione della fantascienza, utilizzabile in romanzi come Angeli e demoni. Eppure è proprio dell'antimateria che ci serviamo per la diagnosi dei tumori con la Pet, la tomografia a emissione di positroni. I positroni, che sono l'antimateria degli elettroni, sono passati nel giro di 50 anni da essere un concetto astratto a una risorsa di uso comune! Tra l'altro, il primo prototipo di questa tecnologia è stato realizzato trent'anni fa proprio al Cern.

E anche senza aspettare tempi lunghi, l'imprescindibile sinergia tra scienza e tecnologia, così necessaria alla ricerca di base, è un motore costante dell'innovazione e produce risultati immediatamente vantaggiosi per la società. L'esempio più clamoroso di ciò è l'invenzione al Cern nel 1989 del Web, che oggi genera il 15% dell'economia mondiale e che ha cambiato in maniera sostanziale il nostro modo di vivere. [...]

L'elenco delle storie di successo potrebbe continuare a lungo, ma quello che ci preme di più è ribadire che, specialmente nei momenti di crisi economica, è necessario avere il coraggio e la lucidità di investire in educazione, ricerca innovazione. Solo questo è lo strumento più efficace per superare in fretta e stabilmente la crisi e, nel lungo termine, è la maniera migliore per sperare in un futuro sostenibile: le scoperte della scienza hanno da sempre scandito e indirizzato la storia dei popoli e non vi è alcun ragionevole motivo per cui questa stretta dipendenza possa oggi essere messa in discussione."

Pallido puntino azzurro...


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La Terra è il punto blu a circa metà della banda marrone a destra,
vista da 6 miliardi di chilometri di distanza (sonda Voyager 1)

"Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.

Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.

La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto."


Se hai vent'anni..


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"Se hai vent'anni vattene. Vattene perché se hai vissuto i tuoi primi 20 anni in questa nazione non hai visto niente dei cambiamenti del mondo. Sei rimasto indietro. Hai vissuto 20 anni di dibattito pubblico schiacciati sullo scontro pro o contro Berlusconi. Uno scontro fatto di puttane, “giudici comunisti” e Nesta/Balotelli. Uno scontro che ha lasciato un manipolo di anziani a dibattere in tv di un paese che non c'è. Spegni la tv, non imparerai niente da Ballarò o da Servizio Pubblico. E chiudi anche le dispense, la cultura non è una pillola da mandar giù. [...] Dovresti andare via per guardare come sono cambiate Londra, Parigi, New York in questi 20 anni. 

Sei nato all'alba della primavera dei Sindaci ma nel frattempo sei diventato maggiorenne e attendi ancora la linea C a Piazza San Giovanni in Roma. Per te non è cambiato nulla ma il resto del mondo ha corso. Come non mai. Se fossi partito avresti visto la più grande biblioteca d'Europa traslocare da un Palazzo del XVII secolo ad uno consono alla fruizione della cultura. Perché i libri, i reperti, non servono a nulla se non possono essere fruiti. Avresti visto una metropolitana che viaggia a 90km/h senza conducente costruita in 5 anni. Avresti visto un paese – il Sud Africa – passare dalla segregazione razziale ad ospitare i Mondiali. Fai una cosa: vattene. Non ascoltare chi ti dice che solo chi resta resiste davvero. Lascia questo paese, meticciati. Scopri la bellezza di altri corpi e di altri odori. Di altri cibi. Fai politica. Sì, fai politica. Perché non è tutto una “merda”. Ma scegliti altri maestri. Un buon politico non è un imbonitore ma un uomo che si carica sulle spalle la visione di un paese, nonostante i voti. 

Guarda Invictus. Dimentica Genova. Lì hanno ucciso una generazione, non farti fermare anche tu. Non ascoltare quella canzone “poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare” è bellissima ma viene da un'altra epoca. Ho amato Peppino e la Sicilia ma ho anche imparato che le catene non coincidono con questo sentimento. Eduardo avrebbe detto Fujetevenne. Io ti scrivo vattene. Vattene per imparare che non è vero che una laurea ti forma. Vattene perché la festa che i tuoi vogliono organizzare è una pagliacciata di cui non hai bisogno. Ciò che hai in mano è un pezzo di carta, non conta niente. Non c'è nulla da festeggiare. Si festeggia il futuro, non il passato.

Vattene via perché altrimenti anche a quarant'anni ti diranno che sei giovane. Non è vero. Vattene perché non devi leggere i giornali che aprono con le violenze per una partita di calcio. Non è giusto. Il calcio è solo uno sport. Parti, lasciaci qui, come i dannati di un inferno da noi stessi generato. Va via! Prendi un volo per il nord e respira la bellezza del senso di comunità. [...] Perché essere più di sé stessi, essere una collettività è la condivisione costante e silenziosa delle regole che consentono a tutti di andare avanti. E questo noi non sappiamo neanche cosa sia. Collettività non è svegliarsi una mattina e ricostruire ciò che è andato in fumo ma lavorare ogni giorno nel silenzio. Non ascoltare gli eroi. Questa nazione non ha bisogno di loro. E' il contrario, sono loro a nutrirsi di questo paese perché senza i suoi mali non potrebbero vivere. 

Parti e torna solo se sarai convinto che è giunto il tuo tempo. Torna solo se hai visto il cambiamento e pensi sia giusto riportarlo indietro. Torna con i sogni di un ventenne e le spalle di un adulto."

Preso da fanpage

E un bel commento particolarmente incisivo: 

"[...] Parti ma ricordati che il cibo non ha lo steso sapore, la gente non si comporta nello stesso modo né è sempre ad aspettarti con le braccia aperte. Ricordati che nonostante la Ryanair non vedrai molti momenti belli e brutti della tua famiglia e dei tuoi amici, che ricostruire la tua vita da zero in città in cui la gente va e viene di continuo non è facile, che la solitudine è sempre dietro l'angolo. [...] Ricordati che quando parti non vai in Erasmus, diventi un immigrato con il tuo bagaglio culturale e gli stereotipi a esso associati. Ricordati che Eldorado è solo un mito e che per arrivare all'oro devi prima scavare e non è detto che la miniera sia quella buona. [...] Ricordati tutto questo, fa un bel respiro, preparati e, poi, parti."

Di: Lamberto Lambru Ferrara

Partire, viaggiare e vivere in altri Paesi è un'esperienza formativa a cui non dovremmo, possibilmente, rinunciare. Viviamo in un mondo così piccolo da poter essere esplorato tutto sullo schermo di un pc eppure così grande da ospitare ad un tempo sfarzo e carestie, guerre e benessere, metropoli e piccoli villaggi. Il confronto con persone provenienti da altre parti di questo pianeta è sempre diverso, ricco, nuovo e costituisce sempre un grande elemento di crescita personale. Quindi sì, partire è necessario. Accettare la sfida della lingua, della cultura, della diversità. Buttarsi a capofitto e provare a dare il massimo. E crescere, fare esperienza, imparare il più possibile dagli altri. E poi, in futuro, tornare. Tornare diversi, con la mente aperta, con idee nuove e tanti sogni. E soprattutto tanta voglia di fare per realizzare anche a "casa" il meglio di ciò che si è visto altrove.

Purtroppo in Italia spesso si parte "per necessità": le possibilità lavorative che mancano, le opportunità scolastiche che a volte non sembrano efficaci, la voglia di cambiare e non sentire sempre gli stessi nomi e gli stessi discorsi politici. All'estero invece tanti partono "per scelta" e vivono un periodo (tipicamente 6 mesi - 1 anno) in giro per il mondo, per fare "esperienza di vita", conoscere posti e persone nuove ed arricchire la propria "formazione personale". Certo, partire sapendo che in qualsiasi momento si potrà rientrare a casa è diverso dal partire con tante speranze e poche certezze... ma, nonostante tutte le difficoltà, partire - almeno per un po' - è sempre una grande esperienza di vita, oltre che una grande sfida. Parti e viaggia, cogli l'opportunità che ti si presenta e buttati. Hai solo una vita, gioca la tua partita!

Arrow


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Thanks to Carolina

Banche e crisi economica


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Le notizie su Cipro sono ancora scarse e confuse, ma qualche certezza cominciamo ad averla. Ad esempio, se inizialmente sembrava che il problema fosse il governo, ora sappiamo che il problema sono le banche. Esattamente come in Irlanda, Islanda, Spagna, Grecia, solo per citare i paesi dove si sono verificati i guai più seri a causa della sproporzione fra dimensione bancaria ed economie nazionali. Ma i primi paesi investiti dalla tormenta sono stati Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Olanda, che hanno fatto parlare poco di sé solo perché i governi sono riusciti a salvare da soli le proprie banche sull’orlo del fallimento. Il copione è stato sempre lo stesso: piccole banche guidate da capitalisti di rapina che nella bramosia del facile guadagno si sono indebitate a dismisura per trovare soldi da utilizzare in prestiti e scommesse tanto attraenti per rendimento, quanto insicuri per solidità. E finché il vento è stato in poppa, la macchina ha camminato garantendo profitti, ma quando gli anelli più deboli della catena hanno cominciato a cedere, l’intera impalcatura è venuta giù mettendo allo scoperto banche piene di debiti senza alcuna possibilità di ripagarli perché coinvolte in investimenti che non valevano niente. Somme enormi che nel caso di Cipro rappresentano il 780% del Pil, in buona compagnia con Malta all’800%, con l’Irlanda al 780%, con l’Inghilterra al 580%.

I primi segnali della mala gestione bancaria sono venuti dagli Stati Uniti nel 2008 per richiesta di aiuto da parte di colossi come Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley, che dichiaravano perdite per miliardi di dollari. E mentre il governo degli Stati Uniti metteva mano al portafoglio per evitare il tracollo delle sue banche nazionali, la grana scoppiava anche in Europa, non nel caldo Mediterraneo, ma nel gelido mare del Nord. Per prima cadde l’inglese Northen Rock, per scoprire, di lì a poco, che altrove la crisi non riguardava solo banche specifiche, ma l’intero sistema bancario. In particolare l’Irlanda e l’Islanda che ebbero destini opposti per le diverse scelte fatte dai rispettivi governi. In Irlanda il governo decise di intervenire pompando nelle sei banche nazionali 85 miliardi di euro, che non avendoli ottenne in prestito dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Così i debiti passarono dalle banche all’intera collettività facendo balzare il debito pubblico irlandese dal 25% nel 2007 al 114% del Pil nel 2011.

In Islanda il popolo si oppose alla soluzione irlandese e il governo decise di intervenire solo a difesa dei risparmi dei cittadini, tirando fuori solo i denari necessari per la tutela dei risparmiatori. Neanche questa operazione fu indolore, ma consentì al governo islandese di contenere il debito pubblico entro il 90% del Pil. E mentre oggi l’Irlanda sta ancora sottoponendo i suoi cittadini a severe politiche di austerità per ripagare i debiti delle sue banche, l’Islanda veleggia per i mari della crescita additata da tutti come esempio virtuoso.

[...] Ma la stessa Grecia, che nell’immaginario collettivo ha ricevuto aiuti solo per tamponare le falle del suo debito pubblico, in realtà ha allargato la sua voragine per salvare le sue banche. Tant’è nonostante un paio di ristrutturazioni pesanti su larghe quote del suo debito pubblico, il suo debito complessivo continua a viaggiare sui 350 miliardi di euro pari al 170% del Pil. Dal 2010 ha incassato oltre 100 miliardi di euro dall’Unione Europea e se in parte sono stati utilizzati per rimborsare le banche tedesche e francesi creditrici del governo greco, diverse decine di miliardi sono state impiegate per il salvataggio delle banche elleniche.

Cosa abbia accelerato la crisi delle banche cipriote è difficile a dirsi. Molte fonti la imputano alle perdite dovute alla svalutazione dei titoli del debito greco e alle sofferenze sui crediti concessi a imprenditori greci. Ma questa è la versione ufficiale. Se in realtà fosse dovuta a operazioni azzardate tipo quelle del Monte dei Paschi di Siena, nessuno ce lo dice. In ogni caso si poneva il problema di come affrontare questa nuova crisi bancaria: col metodo irlandese o con quello islandese? Salvataggio dell’intera struttura bancaria tramite indebitamento stratosferico del governo cipriota o salvataggio dei soli risparmiatori, abbandonando azionisti e grandi creditori al loro destino? Dopo avere sempre scelto il modello irlandese, questa volta l’UE ha optato per quello islandese sicuramente non per amore dei risparmiatori ciprioti, ma per salvaguardare le casse degli stati del Nord Europa. Difronte alla prospettiva di dovere cacciare altri 20 miliardi di euro, la Germania ha preferito dimezzare la spesa, lasciando che il resto venisse pagato dagli azionisti delle banche malmesse assieme ai loro obbligazionisti e ai grandi correntisti, peraltro russi. 

Ma una volta tanto l’egoismo tedesco ha coinciso con le esigenze sociali, introducendo due sani principi. Il primo: gli stati non possono buttare la croce sui cittadini caricandoli dei debiti contratti dalle banche per le loro gestioni azzardate. Il secondo: l’unico interesse privato da difendere è il piccolo risparmio, non i dividendi degli azionisti. E’ ora di dire che se le banche hanno da essere affari privati, allora i loro azionisti devono accettare fino in fondo le conseguenze delle loro scelte, fino al fallimento. Se invece si pensa che le banche svolgono un servizio di alta rilevanza economica e sociale, tale non poterle lasciare fallire, allora non possiamo più lasciarle nelle mani di azionisti privati che usano metodi di rapina per profitti personali.

Come minimo dobbiamo regolamentarle per impedire che il risparmio collettivo venga dilapidato per il vantaggio di pochi. Ma la vera scelta è la nazionalizzazione, il solo modo per fare tornare le banche alla loro funzione originaria di strutture di gestione del risparmio collettivo ad esclusivo servizio dell’economia reale.

Focus


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Università di Berkley, in California: un professore della Facoltà di Psicologia fa il suo ingresso in aula, come ogni martedì. Il corso è uno dei più gremiti e decine di studenti parlano del più e del meno prima dell’inizio della lezione. Il professore arriva con il classico quarto d’ora accademico di ritardo. Tutto sembra nella norma, ad eccezione di un piccolo particolare: il prof. ha in mano un bicchiere d’acqua. Nessuno nota questo dettaglio finché il professore, sempre con il bicchiere d’acqua in mano, inizia a girovagare tra i banchi dell’aula. In silenzio. Gli studenti si scambiano sguardi divertiti, ma non particolarmente sorpresi. Sembrano dirsi: “eccoci qua: oggi la lezione riguarderà sicuramente l’ottimismo. Il prof. ci chiederà se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Alcuni diranno che è mezzo pieno. Altri diranno che è mezzo vuoto. I nerd diranno che è completamente pieno: per metà d’acqua e per l’altra metà d’aria! Tutto così scontato!”

Il professore invece si ferma e domanda ai suoi studenti: “Secondo voi quanto pesa questo bicchiere d’acqua?”. Gli studenti sembrano un po’ spiazzati da questa domanda, ma in molti rispondono: il bicchiere ha certamente un peso compreso tra i 200 e i 300 grammi. Il professore aspetta che tutti gli studenti abbiano risposto e poi propone il suo punto di vista: “Il peso assoluto del bicchiere d’acqua è irrilevante. Ciò che conta davvero è per quanto tempo lo tenete sollevato.” Felice di aver catturato l’attenzione dei suoi studenti, il professore continua: “Sollevatelo per 1 minuto e non avrete problemi. Sollevatelo per 1 ora e vi ritroverete un braccio dolorante. Sollevatelo per un’intera giornata e vi ritroverete un braccio paralizzato.”

Gli studenti continuano ad ascoltare attentamente il loro professore di psicologia: “In ognuno di questi tre casi il peso del bicchiere non è cambiato. Eppure, più il tempo passa, più il bicchiere sembra diventare pesante. Lo stress e le preoccupazioni sono come questo bicchiere d’acqua. Piccole o grandi che siano, ciò che conta è quanto tempo dedichiamo loro. Se gli dedichiamo il tempo minimo indispensabile, la nostra mente non ne risente. Se iniziamo a pensarci più volte durante la giornata, la nostra mente inizia ad essere stanca e nervosa. Se pensiamo continuamente alle nostre preoccupazioni, la nostra mente si paralizza.” Il professore capisce di avere la completa attenzione dei suoi studenti e decide di concludere il suo ragionamento: “Per ritrovare la serenità dovete imparare a lasciare andare stress e preoccupazioni. Dovete imparare a dedicare loro il minor tempo possibile, focalizzando la vostra attenzione su ciò che volete e non su ciò che non volete. Dovete imparare a mettere giù il bicchiere d’acqua.”

Thanks to Efficacemente

Monte Rosa 2013: il mio primo quattromila!


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Gran "scialpinistica" organizzata dalla Ugolini (BS) sul Monte Rosa, 3 giorni di alta quota e 2 vette sopra i 4000 metri!

Partenza venerdì mattina con tempo incerto, arrivo a Gressoney St-Jean e subito salita con impianti fino ad Indren (3275 m). Poi 400 metri di salita con zaini pieni e cielo coperto fino al rifugio Gniffetti (3611 m) dove già la quota inizia a farsi sentire. Il pomeriggio è tranquillo ma la notte per molti si rivela problematica: l'aria rarefatta e il respiro un po' pesante non lasciano tregua a diversi partecipanti, alcuni dei quali purtroppo la mattina successiva decidono di rientrare a valle.


Sabato mattina si parte alla volta della "Capanna Margherita", un rifugio fantastico arroccato sulla punta Gniffetti (4554 m). La giornata è splendida e il cielo quasi completamente sereno (almeno sopra di noi).




La salita è decisamente fredda (6.30 di mattina) e per buona parte in ombra (non togliamo quasi mai il terzo strato) e in particolare gli ultimi 100 metri di dislivello sembrano infiniti: si procede al ritmo di 2 minuti di salita e 30 secondi di pausa, la quota davvero non perdona! Ogni minimo movimento "brusco" si paga con respiro affannato per qualche secondo e l'aria che si inspira sembra sempre "non bastare" per il proprio bisogno di ossigeno.





Appena sotto il rifugio togliamo gli sci e proseguiamo con ramponi e picozza (in realtà io lascio la picca nello zaino e mi tengo i bastoncini da sci, molto più comodi!); il pendio è abbastanza ripido ma la neve è molto compatta e i ramponi lavorano perfettamente fino alla cima. Capanna Margherita è proprio lì, in bilico tra gli strapiombi mozzafiato, e io spero di potermi finalmente concedere una bevanda calda visitando l'interno del rifugio ma.. ovviamente è chiuso! 



Qualche rapida foto e poi ci caliamo perpendicolarmente al pendio (sempre quello di prima) con corda fissa fino agli sci, per poi lanciarci nella discesa. Neve molto buona (meno buone invece le mie capacità in fuoripista, argh!) fino al rifugio Gniffetti, dove arriviamo intorno alle 13. 




Pomeriggio noiosamente tranquillo in rifugio, dormiamo un po' e ci riposiamo chiacchierando al bar per un infinito numero di ore; se non altro fuori nevica e noi siamo piuttosto stanchi.

Nel briefing serale ci vengono date due possibilità per la domenica: scendere a valle o salire un altro 4000 prima di iniziare la discesa. Ovviamente scelgo di salire un'altra vetta e con me ci sono poche altre persone (una decina in tutto), ma la scelta si è rivelata assolutamente vincente! Partenza tardi (7.30) in attesa di una fantomatica "finestra" di bel tempo prevista dalle 8 alle 10, subito salita (come ieri, ancora fredda e in ombra!) e poi deviazione verso il "Cristo delle vette" sul Balmenhorn (4167 m) dove arriviamo in poco più di un'ora.


Qualche foto in vetta e poi finalmente ci lanciamo in una discesa infinita verso valle: la neve in alto è splendida (almeno per chi se la gode fino in fondo!) e diventa via via più dura finché non entriamo in pista per gli ultimi minuti di discesa, che si conclude direttamente alla partenza degli impianti dove abbiamo lasciato la macchina venerdì.


Un giro fantastico con cielo sempre splendido (nonostante questo weekend fosse previsto brutto) e grandi salite a più di 4000 metri. Fondamentale esperienza "in quota" per rendersi conto di come cambi il concetto di fatica a più di 3000 metri e soprattutto per produrre un quintale di globuli rossi da far lavorare nei prossimi giorni!

I dettagli relativi all'edizione di quest'anno della "Scialpinistica dell'Adamello" sono qui